19 de noviembre de 2011

C’E’ POSTA PER ME?


Ettore, col suo peculiare modo di camminare, avanzava sulla scorciatoia, stradicciola che conduceva alla nostra borgata, muovendosi con un’andatura caratteristica che lasciava indovinare che avesse dei calli ai piedi. Era il nostro postino. Era un omone grande e bonaccione, prossimo ad essere pensionato. Fu il primo portalettere che conobbi da bambino e ancora oggi, a distanza di tempo, la sua immagine col chepì consunto e il borsone di cuoio contenente la posta, nel mio ricordo, mi appare ben chiara e dettagliata.
All’ora consueta che arrivava alla nostra borgata si manifestava, tacitamente, fra le gente, la psicosi, la smania dell’attesa del postino, e questa attitudine si spiegava avendo in casa un familiare emigrato che poteva aver mandato una lettera da terre lontane. La posta era quasi l’unico mezzo di comunicazione a distanza, anche se già esisteva il telefono, però questo era un lusso che non potevamo permetterci, e tanto meno di tenerlo in casa. Quindi solo il servizio postale permetteva una comunicazione normale con i nostri cari lontani. Chi non faceva mistero della sua ansietà per ricevere posta era la signora Amalia che immancabilmente, seduta su un ripiano al margine della strada, aspettava il postino che da un momento all’altro poteva apparire in fondo alla stradetta e non lo lasciava avvicinarsi sufficientemente, chiedendogli ad alta voce se avesse posta per lei.
Amalia era una giovane sposa con il marito emigrato in Francia e, da quando era partito, già da qualche mese, ancora di lui non era giunta la prima lettera che lei aspettava trepidamente giorno dopo giorno, e la sua smania cresceva con il passar del tempo, accentuandosi dopo che la lingualunga, vicina di casa, le aveva scaldato la testa insinuandole che molti emigrati italiani erano caduti nella rete dello charme delle donne francesi. Per sua consolazione la lettera tanto attesa un giorno arrivò, e Amalia corse a sventolarla in faccia alla vicina pettegola, così per chiuderle il becco.
Ettore, con o senza posta per noi, arrivava sempre a casa nostra avendo qui un appuntamento con un buon bicchiere di vino che mia madre gli serviva sul tavolo in cucina e, mentre lo sorseggiava, conversava con la mamma e io sbirciavo il contenuto del suo borsone che aveva posto su una sedia. Guardavo superficialmente nei tre scomparti della borsa le lettere di colori diversi sapendo, per sentito dire, che quelle rosa portavano messaggi d’amore, le color paglia contenevano corrispondenza di enti ufficiali o commerciali, e ognuna con messaggi e argomenti diversi. Notizie importanti o banali, scritti amorosi, affari, saluti, alcune lettere portavano gioia altre tristezza, certe esprimevano frasi appassionate dettate da sentimenti cha a tu per tu non troverebbero modo facile di essere dette così dettagliate.
Dentro quelle buste l’immaginazione suggeriva ci fosse tutto un mondo di aspetti diversi. Alcune erano scritte con bella calligrafia lasciando supporre che anche il messaggio all’interno venisse da gente colta, espresso in forma corretta fedele ai canoni letterari, e non di rado con una certa ampollosità, stile molto usato in tempi passati nelle relazioni epistolari.
Altre evidenziavano la loro provenienza da persone di poca cultura, con l’indirizzo iniziato diritto che andava poi torcendosi verso il basso dovendo girare la busta per tentare di leggerlo, cosa ardua per il postino che doveva recapitare la missiva.
Non erano poche quelle che bisognava interpretarle più che leggerle, lasciando immaginare che solo il destinatario, impratichito della calligrafia, poteva districare il testo dell’interno. Questo era conseguenza di chi aveva frequentato, però non era passato, dalla seconda o terza elementare, perché in casa erano più necessarie le loro braccia che una mente colta. Comunque, prescindendo dalla calligrafia, ricevere una lettera sempre motiva certe vibrazioni che si trasformano in emozioni diverse leggendola. Emozioni dolci, tenere se chi ti scrive è una persona amata, indifferenza o poco interesse per i messaggi pubblicitari, con una smorfia se includono fatture per il pagamento agli enti che ci forniscono i vari servizi per la casa, e lo stesso per il pagamento delle tasse. Così sempre quando ci arriva una lettera per le mani. Seguendo con i valori della parola scritta, alla “penna” tocca il privilegio della scrittura eseguita manualmente anche se attualmente in disuso, in buona parte marginata da mezzi e tecnologie moderne usata tutt’al più per redigere minute annotazioni o fogli marginali di relativa importanza, e anche i famosi manoscritti notarili già non sono tali a meno che, in taluni casi, non sia necessaria l’autenticità grafologica.
Nulla potrà togliere alla penna di essere stata, e di esserlo per sempre, la regina della scrittura a mano, partendo dalla piuma d’oca e sommando tutte le invenzioni e forme di scrittura che a questa sono succedute, sarà sempre la penna e la scrittura a mano a trasmettere sensazioni, emozioni, e riflettere lineamenti e caratteristiche della personalità dello scrivente. Inoltre manifesta intimità, calore, confidenza più che altri mezzi di comunicazione a distanza, che risultano più freddi e impersonali, anche se più pratici e immediati. Retrocedendo di un paio di generazioni è doveroso ricordare quel pennino d’acciaio montato sull’asticella che serviva da impugnatura. Pennino con cui, insicuri, abbiamo tracciato le prime aste e man mano abbiamo preso confidenza riempiendo pagine intere con una sola parola per impratichirci nella scrittura. Il pennino aveva il suo compagno inseparabile, il calamaio, e quando per intingere l’inchiostro lo si affondava più del necessario, lasciava cadere una goccia che formava una bella macchia sul foglio bianco, la pagina già scritta. Erano guai anche quando il famoso pennino si conficcava nella carta e la macchia prendeva la forma di uno scoppio di granata e ciò diminuiva la qualificazione che il maestro marcava al margine della pagina.
Oggi i nostri figli o nipoti usano la penna a sfera e questi incidenti non succedono più.
Quanti pensieri si possono far scorrere sulla punta della penna, forse più di quanti se ne possano esternare con la parola, e lo scritto resta indelebile segnato sul foglio, mentre la parola può scivolare nell’aria e in buona parte disperdersi o dimenticarsi.
La comunicazione scritta destinata ad andare lontano è la posta, incaricata di recapitarla, e oltre alla corrispondenza, alla lettera, ci porta pacchi, denaro e molte altre cose ancora. Piacevole era il momento del ricevere l’assicurata con il vaglia incluso dal familiare lontano che provvedeva al mantenimento della famiglia fino all’arrivo del prossimo destinato allo stesso fine. Quanta gioia pervadeva l’emigrante quando in terre straniere riceveva una lettera dei suoi cari che, oltre alle notizie personali, includeva quel filo spirituale che lo teneva attaccato alla grande patria e al luogo natio mantenendo placato anche il morso della nostalgia. E quando c’erano di mezzo le passioni amorose quando arrivava la lettera attesa quanta felicità e in caso contrario se non c’era posta per lui o lei, quanta ansietà pativa l’innamorato. Ma il valore incomparabile della posta era quando la lettera poteva giungere nella mani del soldato sul fronte di guerra, ricevendola con un nodo alla gola tra i fischi delle pallottole e il rombo del cannone. Anche in questo caso un tenue filo congiungeva ricordi e affetti con l’emozione raddoppiata dalla precaria certezza di poter uscire con vita dal conflitto che incombeva con tanti pericoli minacciosi sulla sopravvivenza dei combattenti. Così il soldato seduto su un sasso o accovacciato nella trincea leggeva la lettera preso dal magone guardando la fotografia della fidanzata o della moglie con il figliolo nato dopo la sua partenza che non aveva ancora potuto tenere tra le braccia.
Benché l’idea di far nascere questo racconto era di esaltare solo il piacere di ricevere posta, lettere, notizie, è impossibile dissociare il servizio postale, veicolo che ci rimette nelle nostre mani, al nostro domicilio, i messaggi a noi indirizzati; perciò un po’ di storia delle poste si intreccia col racconto ed è un atto di giustizia non tralasciare di citare questo imprescindibile servizio sociale. Ogni giorno per vie e viottoli di ogni dove vediamo e incrociamo i postini nel loro lavoro, recapitando lettere ai destinatari. Vanno a piedi o motorizzati, facilmente individuabili con le loro vistose uniformi giallo-blu prestando il servizio alla comunità.
Questi incontri fanno risalire il pensiero agli esordi, agli inizi del servizio postale quando fu creato cento cinquant’anni fa contemporaneamente alla nascita dell’unità d’Italia nel 1861.
Una certa forma di comunicazione epistolare la si attribuisce molto prima ai romani, alle alte sfere imperiali e militari, mobilizzandosi, gli addetti al servizio, a piedi o a cavallo con i rotoli di pergamena.
Poi via via passando il tempo, attraverso i secoli, come tutte le cose, la comunicazione a distanza evolse arrivando al tempo attuale, ai giorni nostri, operando con tecnologie e mezzi moderni.
Si sa che l’uomo da quando esiste sulla terra ha sentito la necessità, il bisogno di comunicare a distanza. Prima si sarà fatto capire a gridi, poi scoprendo il fuoco, con segnali di fumo, o con il tam tam usando i tamburi. In qualche parte del mondo esistono ancora popolazioni primitive, non involucrate nella spinta del progresso, che usano tali modi di comunicazione e resteranno così fin quando non arriverà tra loro un malandro “vucomprà” a barattare telefonini per pelli di serpenti e di coccodrilli.
Per far giungere la posta ai destinatari furono usati molti mezzi. Agli inizi del servizio fu portata a piedi, a cavallo, in località di montagna, con la slitta, gli sci o a dorso di un mulo. Poi arrivò il barroccino la diligenza con ai lati delle porte, lo scudo delle “regie poste” e i corrieri di questa dovevano viaggiare armati per difendersi qualora alcune strade fossero infestate da briganti e malfattori. Seguirono il trasporto ferroviario, il piroscafo e l’aereo. Già nell’attualità altri mezzi si aggiunsero alla comunicazione a distanza tra le quali l’ultima arrivata è “l’e. mail”, posta elettronica a mezzo computer, dando questo sistema la massima capillarità al servizio.
La “posta” deve il suo nome al luogo dove la diligenza si fermava per il cambio dei cavalli e il ristoro dei passeggeri detta “stazione di posta” e tali fermate erano distanti circa venti chilometri una dall’altra. E’ da notare che con l’evoluzione dei servizi anche i postini che fin dai primi tempi usarono uniformi, si modernizzarono anche queste passando per diverse fogge sempre molto eleganti fino alle attuali fosforescenti e molto appariscenti.
Dopo aver risaltato più che latro il lato pratico e utilitario della posta merita un riferimento anche una faccetta dal carattere sentimentale che fa risaltare la cartolina postale con immagini intinte nell’idealismo romantico della belle epoque, rappresentando principalmente l’amore in tutte le sue espressioni  permesse dalla decenza e dalla morale. Furoreggiarono fino alla decade degli anno trenta del secolo scorso, svanirono, poi scomparsero, con la generazione dei nostri genitori non solo vestivano un’aureola romantica ma era corrente che il borsone del postino emanasse un profumino di coty, chanel o semplicemente di lavanda o acqua di rose dovuto a lettere amorose, a volte contenenti fiori dissecati, ciocche di capelli, quadrifogli o altre cosette simboleggiando o relazionando con l’amore. E’ possibile che persone cui piace conservare la corrispondenza di qualche vecchio familiare, rovistando qualche plico ingiallito dal tempo, trovino delle immagini, fogli e buste che racconteranno la storia completa di tutta un’epoca confermata da scritti sbiaditi e francobolli raffiguranti personaggi anche loro passati alla storia, cimeli giunti per posta e forse recapitati da Ettore quando era un giovanotto agli inizi della sua carriera.

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