Ettore, col suo
peculiare modo di camminare, avanzava sulla scorciatoia, stradicciola che
conduceva alla nostra borgata, muovendosi con un’andatura caratteristica che
lasciava indovinare che avesse dei calli ai piedi. Era il nostro postino. Era
un omone grande e bonaccione, prossimo ad essere pensionato. Fu il primo
portalettere che conobbi da bambino e ancora oggi, a distanza di tempo, la sua
immagine col chepì consunto e il borsone di cuoio contenente la posta, nel mio
ricordo, mi appare ben chiara e dettagliata.
All’ora consueta che arrivava alla nostra borgata si manifestava,
tacitamente, fra le gente, la psicosi, la smania dell’attesa del postino, e
questa attitudine si spiegava avendo in casa un familiare emigrato che poteva
aver mandato una lettera da terre lontane. La posta era quasi l’unico mezzo di
comunicazione a distanza, anche se già esisteva il telefono, però questo era un
lusso che non potevamo permetterci, e tanto meno di tenerlo in casa. Quindi
solo il servizio postale permetteva una comunicazione normale con i nostri cari
lontani. Chi non faceva mistero della sua ansietà per ricevere posta era la
signora Amalia che immancabilmente, seduta su un ripiano al margine della
strada, aspettava il postino che da un momento all’altro poteva apparire in
fondo alla stradetta e non lo lasciava avvicinarsi sufficientemente,
chiedendogli ad alta voce se avesse posta per lei.
Amalia era una giovane sposa con il marito emigrato in Francia e, da
quando era partito, già da qualche mese, ancora di lui non era giunta la prima
lettera che lei aspettava trepidamente giorno dopo giorno, e la sua smania
cresceva con il passar del tempo, accentuandosi dopo che la lingualunga, vicina
di casa, le aveva scaldato la testa insinuandole che molti emigrati italiani
erano caduti nella rete dello charme delle donne francesi. Per sua consolazione
la lettera tanto attesa un giorno arrivò, e Amalia corse a sventolarla in
faccia alla vicina pettegola, così per chiuderle il becco.
Ettore, con o senza posta per noi, arrivava sempre a casa nostra avendo
qui un appuntamento con un buon bicchiere di vino che mia madre gli serviva sul
tavolo in cucina e, mentre lo sorseggiava, conversava con la mamma e io
sbirciavo il contenuto del suo borsone che aveva posto su una sedia. Guardavo
superficialmente nei tre scomparti della borsa le lettere di colori diversi
sapendo, per sentito dire, che quelle rosa portavano messaggi d’amore, le color
paglia contenevano corrispondenza di enti ufficiali o commerciali, e ognuna con
messaggi e argomenti diversi. Notizie importanti o banali, scritti amorosi,
affari, saluti, alcune lettere portavano gioia altre tristezza, certe
esprimevano frasi appassionate dettate da sentimenti cha a tu per tu non
troverebbero modo facile di essere dette così dettagliate.
Dentro quelle buste l’immaginazione suggeriva ci fosse tutto un mondo di
aspetti diversi. Alcune erano scritte con bella calligrafia lasciando supporre
che anche il messaggio all’interno venisse da gente colta, espresso in forma
corretta fedele ai canoni letterari, e non di rado con una certa ampollosità,
stile molto usato in tempi passati nelle relazioni epistolari.
Altre evidenziavano la loro provenienza da persone di poca cultura, con
l’indirizzo iniziato diritto che andava poi torcendosi verso il basso dovendo
girare la busta per tentare di leggerlo, cosa ardua per il postino che doveva
recapitare la missiva.
Non erano poche quelle che bisognava interpretarle più che leggerle,
lasciando immaginare che solo il destinatario, impratichito della calligrafia,
poteva districare il testo dell’interno. Questo era conseguenza di chi aveva
frequentato, però non era passato, dalla seconda o terza elementare, perché in
casa erano più necessarie le loro braccia che una mente colta. Comunque,
prescindendo dalla calligrafia, ricevere una lettera sempre motiva certe
vibrazioni che si trasformano in emozioni diverse leggendola. Emozioni dolci,
tenere se chi ti scrive è una persona amata, indifferenza o poco interesse per
i messaggi pubblicitari, con una smorfia se includono fatture per il pagamento
agli enti che ci forniscono i vari servizi per la casa, e lo stesso per il
pagamento delle tasse. Così sempre quando ci arriva una lettera per le mani.
Seguendo con i valori della parola scritta, alla “penna” tocca il privilegio
della scrittura eseguita manualmente anche se attualmente in disuso, in buona
parte marginata da mezzi e tecnologie moderne usata tutt’al più per redigere
minute annotazioni o fogli marginali di relativa importanza, e anche i famosi
manoscritti notarili già non sono tali a meno che, in taluni casi, non sia
necessaria l’autenticità grafologica.
Nulla potrà togliere alla penna di essere stata, e di esserlo per
sempre, la regina della scrittura a mano, partendo dalla piuma d’oca e sommando
tutte le invenzioni e forme di scrittura che a questa sono succedute, sarà
sempre la penna e la scrittura a mano a trasmettere sensazioni, emozioni, e
riflettere lineamenti e caratteristiche della personalità dello scrivente.
Inoltre manifesta intimità, calore, confidenza più che altri mezzi di
comunicazione a distanza, che risultano più freddi e impersonali, anche se più
pratici e immediati. Retrocedendo di un paio di generazioni è doveroso
ricordare quel pennino d’acciaio montato sull’asticella che serviva da impugnatura.
Pennino con cui, insicuri, abbiamo tracciato le prime aste e man mano abbiamo
preso confidenza riempiendo pagine intere con una sola parola per impratichirci
nella scrittura. Il pennino aveva il suo compagno inseparabile, il calamaio, e
quando per intingere l’inchiostro lo si affondava più del necessario, lasciava
cadere una goccia che formava una bella macchia sul foglio bianco, la pagina già
scritta. Erano guai anche quando il famoso pennino si conficcava nella carta e
la macchia prendeva la forma di uno scoppio di granata e ciò diminuiva la
qualificazione che il maestro marcava al margine della pagina.
Oggi i nostri figli o nipoti usano la penna a sfera e questi incidenti
non succedono più.
Quanti pensieri si possono far scorrere sulla punta della penna, forse
più di quanti se ne possano esternare con la parola, e lo scritto resta
indelebile segnato sul foglio, mentre la parola può scivolare nell’aria e in
buona parte disperdersi o dimenticarsi.
La comunicazione scritta destinata ad andare lontano è la posta,
incaricata di recapitarla, e oltre alla corrispondenza, alla lettera, ci porta
pacchi, denaro e molte altre cose ancora. Piacevole era il momento del ricevere
l’assicurata con il vaglia incluso dal familiare lontano che provvedeva al
mantenimento della famiglia fino all’arrivo del prossimo destinato allo stesso
fine. Quanta gioia pervadeva l’emigrante quando in terre straniere riceveva una
lettera dei suoi cari che, oltre alle notizie personali, includeva quel filo
spirituale che lo teneva attaccato alla grande patria e al luogo natio
mantenendo placato anche il morso della nostalgia. E quando c’erano di mezzo le
passioni amorose quando arrivava la lettera attesa quanta felicità e in caso
contrario se non c’era posta per lui o lei, quanta ansietà pativa l’innamorato.
Ma il valore incomparabile della posta era quando la lettera poteva giungere
nella mani del soldato sul fronte di guerra, ricevendola con un nodo alla gola
tra i fischi delle pallottole e il rombo del cannone. Anche in questo caso un
tenue filo congiungeva ricordi e affetti con l’emozione raddoppiata dalla
precaria certezza di poter uscire con vita dal conflitto che incombeva con
tanti pericoli minacciosi sulla sopravvivenza dei combattenti. Così il soldato
seduto su un sasso o accovacciato nella trincea leggeva la lettera preso dal
magone guardando la fotografia della fidanzata o della moglie con il figliolo
nato dopo la sua partenza che non aveva ancora potuto tenere tra le braccia.
Benché l’idea di far nascere questo racconto era di esaltare solo il
piacere di ricevere posta, lettere, notizie, è impossibile dissociare il
servizio postale, veicolo che ci rimette nelle nostre mani, al nostro
domicilio, i messaggi a noi indirizzati; perciò un po’ di storia delle poste si
intreccia col racconto ed è un atto di giustizia non tralasciare di citare
questo imprescindibile servizio sociale. Ogni giorno per vie e viottoli di ogni
dove vediamo e incrociamo i postini nel loro lavoro, recapitando lettere ai
destinatari. Vanno a piedi o motorizzati, facilmente individuabili con le loro
vistose uniformi giallo-blu prestando il servizio alla comunità.
Questi incontri fanno risalire il pensiero agli esordi, agli inizi del
servizio postale quando fu creato cento cinquant’anni fa contemporaneamente alla
nascita dell’unità d’Italia nel 1861.
Una certa forma di comunicazione epistolare la si attribuisce molto
prima ai romani, alle alte sfere imperiali e militari, mobilizzandosi, gli
addetti al servizio, a piedi o a cavallo con i rotoli di pergamena.
Poi via via passando il tempo, attraverso i secoli, come tutte le cose,
la comunicazione a distanza evolse arrivando al tempo attuale, ai giorni
nostri, operando con tecnologie e mezzi moderni.
Si sa che l’uomo da quando esiste sulla terra ha sentito la necessità,
il bisogno di comunicare a distanza. Prima si sarà fatto capire a gridi, poi
scoprendo il fuoco, con segnali di fumo, o con il tam tam usando i tamburi. In
qualche parte del mondo esistono ancora popolazioni primitive, non involucrate
nella spinta del progresso, che usano tali modi di comunicazione e resteranno
così fin quando non arriverà tra loro un malandro “vucomprà” a barattare
telefonini per pelli di serpenti e di coccodrilli.
Per far giungere la posta ai destinatari furono usati molti mezzi. Agli
inizi del servizio fu portata a piedi, a cavallo, in località di montagna, con
la slitta, gli sci o a dorso di un mulo. Poi arrivò il barroccino la diligenza
con ai lati delle porte, lo scudo delle “regie poste” e i corrieri di questa
dovevano viaggiare armati per difendersi qualora alcune strade fossero
infestate da briganti e malfattori. Seguirono il trasporto ferroviario, il
piroscafo e l’aereo. Già nell’attualità altri mezzi si aggiunsero alla
comunicazione a distanza tra le quali l’ultima arrivata è “l’e. mail”, posta
elettronica a mezzo computer, dando questo sistema la massima capillarità al
servizio.
La “posta” deve il suo nome al luogo dove la diligenza si fermava per il
cambio dei cavalli e il ristoro dei passeggeri detta “stazione di posta” e tali
fermate erano distanti circa venti chilometri una dall’altra. E’ da notare che
con l’evoluzione dei servizi anche i postini che fin dai primi tempi usarono
uniformi, si modernizzarono anche queste passando per diverse fogge sempre
molto eleganti fino alle attuali fosforescenti e molto appariscenti.
Dopo aver risaltato più che latro il lato pratico e utilitario della
posta merita un riferimento anche una faccetta dal carattere sentimentale che
fa risaltare la cartolina postale con immagini intinte nell’idealismo romantico
della belle epoque, rappresentando principalmente l’amore in tutte le sue
espressioni permesse dalla decenza
e dalla morale. Furoreggiarono fino alla decade degli anno trenta del secolo
scorso, svanirono, poi scomparsero, con la generazione dei nostri genitori non
solo vestivano un’aureola romantica ma era corrente che il borsone del postino
emanasse un profumino di coty, chanel o semplicemente di lavanda o acqua di
rose dovuto a lettere amorose, a volte contenenti fiori dissecati, ciocche di
capelli, quadrifogli o altre cosette simboleggiando o relazionando con l’amore.
E’ possibile che persone cui piace conservare la corrispondenza di qualche
vecchio familiare, rovistando qualche plico ingiallito dal tempo, trovino delle
immagini, fogli e buste che racconteranno la storia completa di tutta un’epoca
confermata da scritti sbiaditi e francobolli raffiguranti personaggi anche loro
passati alla storia, cimeli giunti per posta e forse recapitati da Ettore
quando era un giovanotto agli inizi della sua carriera.
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